Pagina:Alberti, Leon Battista – Opere volgari, Vol. I, 1960 – BEIC 1723036.djvu/174

Da Wikisource.
168 i libri della famiglia

essere veri e solliciti massai veramente siano nostre. Ora quali saranno elleno?

Lionardo. Io odo dire la moglie mia, e’ figliuoli miei, la casa mia. Forse queste?

Giannozzo. Oh! queste, Lionardo mio, non sono nostre. Quello che io ti posso tôrre a ogni mia posta, di chi sarà. Tuo?

Lionardo. Più vostro.

Giannozzo. La fortuna può ella a ogni sua posta tôrci moglie, figliuoli, roba e simili cose?

Lionardo. Può certo sì.

Giannozzo. Adunque sono elle più sue che nostre. E quello che a te mai può essere tolto in modo alcuno, di chi sarà?

Lionardo. Mio.

Giannozzo. Può egli a te essere tolto questo che a tua posta tu ami, desideri, appetisca, sdegni e simili cose?

Lionardo. Certo no.

Giannozzo. Adunque simili cose sono tue proprie.

Lionardo. Vero dite.

Giannozzo. Ma per dirti brieve, tre cose sono quelle le quali uomo può chiamare sue proprie, e sono in tanto che dal primo dì che tu venisti in luce la natura te le diede con questa libertà, che tu l’adoperi e bene e male quanto a te pare e piace, e comandò la natura a quelle sempre stiano pressoti, né mai persino all’ultimo dì si dipartano di sieme da te. L’una di queste sappi ch’ell’è quello mutamento d’animo col quale noi appetiamo e ci cruciamo tra noi. Voglia la fortuna o no, pure sta in noi. L’altro vedi ch’egli è il corpo. Questo la natura l’ha subietto come strumento, come uno carriuolo sul quale si muova l’anima, e comandògli la natura mai patisse ubidire ad altri che all’anima propria. Così si vede in qualunque animale si sia rinchiuso e subietto ad altri, mai requia per liberarsi e rendersi proprio a sé, per adoperare sue alie o piè e altri membri non a posta d’altri, ma con sua libertà, a sua voglia. Fugge la natura avere il corpo non in balia dell’anima, e sopra tutti l’uomo naturalmente