Pagina:Alberti, Leon Battista – Opere volgari, Vol. I, 1960 – BEIC 1723036.djvu/184

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178 i libri della famiglia

sì; e tanto sono degli uomini quanto la fortuna gli permette usare.

Lionardo. E di queste così a voi concesse per la fortuna, fatene voi masserizia alcuna?

Giannozzo. Lionardo mio, non faccendo masserizia di quello che usandolo diventa nostro, sarebbe negligenza ed errore. Tanto sono le cose della fortuna nostre sì quanto ella ce le permette, e ancora quanto noi le sappiamo usare. Benché, a noi Alberti in queste nostre calamità la fortuna ci sta pur troppo contraria e molesta, non facile e liberale delle cose sue, ma iniqua e malvagia a turbarci qualunque nostra ben propria cosa, e possiamo, a dirti il vero, male essere veri massai. In questo nostro essilio sempre siamo stati in quella espettazione di ritornare alla patria, riaverci in casa nostra, riposarci tra’ nostri, la quale cosa quanto più speravamo e desideravamo, tanto più ci era dolore a noi insieme e danno, imperoché mai sapemmo fermare l’animo né il vivere nostro ad alcuno stabile ordine. E se io avessi potuto il primo dì non dico in noi credere, ma fingere quanto infortunio e quanta miseria abbia la famiglia nostra Alberta già tanto tempo sofferta, se io giovane avessi creduto quel che io pruovo vecchio, diventare fuori di casa mia canuto, figliuoli miei, forse arei tenuto altri modi.

Lionardo. Però dice, Battista, — raméntati quello terenziano Demifo, — ciascuno, quando le cose gli secondano, allora molto gli è mestiero fra sé pensare in che modo, accadendo, e’ sofferisca l’avversa signoria della fortuna, pericoli, danni, essilii. Tornando di viaggio sempre pensi qualche malefatto de’ figliuoli, o della moglie, o qualche sinistro a’ suoi, cose possibili quali tutto il dì avengono, acciò che all’animo nulla sopravenga non preveduto. Suole meno ferire il visto prima dardo. E così ciò che truovi salvo meglio che non avevi teco pensato, stimalo a guadagno. Se così dobiamo fare ne’ tempi felici, ancora molto più quando le cose cominciano a declinare e ruinare.

Giannozzo. O Lionardo mio, in che modo arei io così