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222 i libri della famiglia

e diligenza. Questa roba, questa famiglia, e i figliuoli che nasceranno sono nostri, così tuoi come miei, così miei come tuoi. Però qui a noi sta debito pensare non quanto ciascuno di noi ci portò, ma in che modo noi possiamo bene mantenere quello che sia dell’uno e dell’altro. Io procurerò di fuori che tu qui abbia in casa ciò che bisogni; tu provedi nulla s’adoperi male».

Lionardo. Come vi parse ella udirvi? Volentieri?

Giannozzo. Molto, e disse gli piacerà fare con diligenza quanto saprà e potrà quello che mi sia a grado. Però dissi io: «Donna mia, odimi: sopra tutto a me sarà gratissimo faccia tre cose: la prima, qui in questo letto fa’, moglie mia, mai vi desideri altro uomo che me solo, sai». Ella arrossì e abassò gli occhi. Ancora glielo ridissi che in quella camera mia ricevesse solo me, e questa fu la prima. La seconda, dissi, avesse buona cura della famiglia, contenessela e reggessela con modestia in riposo, tranquillità e pace; e questa fu la seconda. La terza cosa, dissi, provedesse che delle cose domestiche niuna andasse a male.

Lionardo. Monstrastile voi come ella dovesse fare quanto li comandavate, o pure essa da sé in queste tutte era maestra e dotta?

Giannozzo. Non credere, Lionardo mio, che una giovinetta possa essere in le cose bene dotta. Né si richiede dalle fanciulle tutta quella astuzia e malizia quale bisogna in una madre di famiglia, ma molto più modestia e onestà, quali virtù furono in la donna mia sopra tutte l’altre, e non potrei dirti con quanta riverenza ella mi rispondesse. Dissemi la madre gli avea insegnato filare, cucire solo, ed essere onesta ancora e obediente, che testé da me imparerebbe volentieri in reggere la famiglia e in quello che io gli comandassi quanto a me paresse d’insegnarli.

Lionardo. E voi come, Giannozzo, insegnastili voi queste cose?

Giannozzo. Che? Forse adormentarsi senza uomo altri che me appresso?