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120 profugiorum ab ærumna

corre a mente; e considerianci, Niccola, s’io m’abatto al vero. Gli animi nostri gli fece la natura atti ad eternità, simplici, nulla composti, non da altri mossi che da sé stessi. La eternità credo io non sia altro che una certa perfezione e continuazione inviolabile di vita e d’esser sempre uno e medesimo. Quello che fu prima coniunto e ascritto alla vita si pruova essere el moto. E’ movimenti dell’animo non accade raccontarli qui, ma restici persuaso che l’animo può mai starsi ocioso, sempre si volge e avvolge in sé qualche investigazione o disposizione o appreensione di cose, quali se saranno gravi, degne e tali ch’elle adempiano l’animo, nulla più altro vi si potrà immergere; se saranno lievi, galleggeranno mezzo a’ flutti della mente nostra, e, come avviene, di cosa in cosa ondeggeranno e’ nostri pensieri persino che picchieranno a qualche scoglio di qualche aspra memoria o dura alcuna volontà, onde poi ivi noi sentiamo gli urti dentro al nostro petto iterati e gravi. Perturbasi ancora in noi l’animo dissoluto dalla ragione e condutto dalla opinione a iudicare falso delle cose buone o non buone, come tutto el dì vediamo non rari infetti da questa commune corruttela del vivere, quali e piangono e godono più per satisfare al giudicio e sensi altrui che a sé stessi. Ma io di me voglio esplicarvi in qual numero io sia infra e’ mortali. Io, Niccola mio, s’io fussi uno di que’ calamitosi, desidererei le mie care cose, e non affermerei essere in me sì assoluta e perfetta virtù che non mi dolesse la perdita de’ miei; ma cercherei le vie e modi da levarmi ogni molestia dell’animo. E per quanto e’ mi paia conoscere, egli è in pronto e quasi in grembo di ciascuno el potersi acquietare da ogni perturbazione e prima ch’elle offendano e poi che tu le concepesti. E poi che ’l ragionare ne condusse a questo, riconosciamo insieme s’io erro.

Comincianci da questo capo. Le perturbazioni, voglio favellare così, piovono e versansi nell’animo nostro vacuo. Onde? Certo diranno alcuni surgere o dalla perversità de’ tempi, o dalla nostra propria iniqua fortuna, o da qualche duro caso, o dalla nequizia e improbità degli altri uomini, o da qualche nostro errore. Altronde non vedo che in noi possa insurgere acerbità o tedio alcuno. Ma, dirò io, cosa niuna estrinseca potrà ne’ nostri animi se non quanto