Pagina:Alberti, Leon Battista – Opere volgari, Vol. II, 1966 – BEIC 9707880.djvu/131

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libro primo 125

per salute del corpo per gratificare alle nostre membra, curiamo quando che sia la salute dell’animo nostro. Dicea Omero poeta che agli uomini nascono molti mali dal ventre; e noi pur ci diamo a servire al ventre, onde a noi resultano infiniti incommodi. Dianci adunque a vivere non alle membre nostre ma a noi stessi, cioè a ben fruttare el nostro ingegno. Quando vediamo che sollecitarci in curare le cose di fuori di noi, sono nostre opere e nostri pensieri tanto d’altrui e non nostre quanto quella e quell’altra cosa la richiede e adopra, lascianle guidare alla fortuna di chi elle sono. Non però voglio posporre la salute del corpo; volo sustentare, non saziarlo. Dicea Diogenes cinico: se col grattarsi el ventre si sedasse la fame, forse sì farebbe per gli uomini e forse che no. La fame, se non gli satisfai, infesta e fassi ubidire. Apulegio, accusato, negava sé esser pallido per le cure amatorie, ma affermava che le fatiche degli studi lo allassavano. Quattro cose connumerano e’ fisici esterminare e prosternere in noi le forze della natura: il dolore, le vigilie, el fetore, le cure dell’animo. E non so come, indebolite le membra, l’animo sia men libero e men suo. Adunque daremo al corpo quantunche bisogna, e ritrarremolo dalle cose nocive alla sanità. E per non eccitare all’animo altre cure, schifaremo d’avere più d’una faccenda qual sia nulla grave o difficile più che possino le forze nostre. Non però in questa porremo ogni nostro studio, ogni opera, ogni assiduità; anzi interlasseremo qualche ora, e poseremo quando che sia quella veemente contenzione d’animo e perseveranza di nostro studio. Asinio Pollione, nobile oratore, scrive Seneca, sino all’ora del dì decima sé essercitava in ogni laboriosa industria: doppo all’ora decima sé contenea in tanto ozio che neppure leggea le lettere scrittegli da’ suoi amici. E non senza onestissima ragione e’ nostri maggiori patrizi in Roma vetavano si facesse in Senato dopo certa ora nuova relazione, ché voleano a tante faccende interporvi qualche ozio e quiete. Antioco re, dopo che perdé l’Asia, ringraziò el Senato di Roma e fu lieto gli si minuissero faccende. E noi poco prudenti non solo con troppa sollicitudine ci affanniamo in più nostre faccende, ma e non richiesti intraprendiamo le faccende altrui. Antiquo proverbio: chi s’impaccia rimane impacciato. E dispia-