Pagina:Alberti, Leon Battista – Opere volgari, Vol. II, 1966 – BEIC 9707880.djvu/148

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142 profugiorm ab ærumna

e ubbidendo alla ragione. Queste a te mostreranno onde tu possa riconoscere le volontà e instituti di chi tu ami essere da natura volubile e inconstante; e mostrerannoti gli animi di chi ti si porge amico essere iunti a benivolenza teco solo tanto quanto fra voi durerà quel vincolo quale vi strinse ad amarvi insieme. Ché se vi collegò a tanta coniunzione qualche utilità o qualche gratissima ragione di convivervi insieme con festa e sollazzo, non voglio ti persuada avere la fortuna tra voi sempre equabile e secunda. Né dubitare, a te succederanno e’ tempi tali quali per sua usanza e natura sino a questo dì succedereno a te e agli altri mortali. E tu riconoscilo quanto d’ora in ora e’ furono vari e mutabili. Onde conoscerai che queste tue fortune, questo fiore e grazia di vostra età e forma, quando che sia, voleranno fra le cose perdute e spente.

Adunque, non preporre alle espettazioni tue tanta speranza, che tu escluda ogni ragione e consiglio per quale possi dubitare e presentire in te quello che può e suole avvenire ad altri con suo gravezza e tristezza. Eccoti padre a questi e questi figliuoli; eccoti fra’ tuoi cittadini e altrove non rari amici, molti coniunti a familiarità, innumerabili conoscenze e commerzi; eccoti ricchezze pari a un re, amplitudine, autorità, dignità, quanto si può desiderare fra’ mortali. Oh! te uomo e infelice, se forse arai ogni altra cosa, e non arai te stessi. Né pensare aver te stessi ove non possi moderarti molto più in le cose seconde che in le avverse. E non sempre, no, rimane el figliuolo erede al padre; né so se molti più furono padri e madre quali facessero essequie a’ suoi minori che non furono figliuoli quali piangessero e’ suoi maggiori. E questi nostri amici, chi affermerà che ne apportino in vita più piaceri che dispiaceri? Ben disse Valerio Marziale: Nemini feceris te nimium sodalem: amabis minus, dolebis etiam minus.

Dico, Niccola, e dico a te, Battista: Oh perniziosissima peste a’ mortali el troppo amore! Scrive Plinio che Publio Catineio Filotimo, lasciato erede in tutte le fortune di colui a cui e’ fu servo in vita e molto amato, per troppo desiderio del padrone suo si gittò in mezzo del fuoco dove s’ardea e onorava el morto. Fu cosa questa d’animo impotente e furioso. Ma quali siano e’ furori che tuttora traportino que’ miseri mortali in quali arde troppo