Pagina:Alberti, Leon Battista – Opere volgari, Vol. II, 1966 – BEIC 9707880.djvu/149

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libro secondo 143

amore, altrove ne disputeremo. E queste nostre speranze e contentamenti quant’elle siano certe e stabili, lascio considerarlo a chi più spera e gode che non si li conviene. Questo bene ricorderei a chi mi volesse udire, che in ogni suo accogliere suo ragione e summa in questa causa, soscrivesse insieme le durezze e maninconie qual sono aggiunte e asperse con tante sue voluttà e letizie. E chi non vede ch’ogni umano piacere, altro che quello qual sia posto in pura e semplice virtù, sempre sta pieno d’infinite suspizioni e paure e dolori, ora di non asseguire, ora di perdere quello che gli dilettava e satisfacea? Appresso di Virgilio, Eneas fuggendo da Troia suo patria incesa ed eversa col padre in collo e col figliuolo a mano, non e’ suoi armati nimici, ma e’ coniuntissimi lo perturbavano. Leggiadro poeta!, namque inquit:

et me, quem dudum non ulla iniecta movebant
tela neque adverso glomerati ex agmine Grai;
nunc omnes terrent aure, sonus excitat omnis
suspensum et pariter comitique onerique timentem.

Ma non mi estenderò in demostrarvi che ’l gaudio e lo sperare sono per sé all’animo perturbazione e morbo non meno che si sia la paura e insieme el dolore. Altrove sarà da disputarne. Basti avervi, quasi accennando, mostrato che per vivere vita quieta e tranquilla, bisogna moderarci e frenarci in ogni nostra voluttà e successo d’ogni nostra opinione ed espettazione. E se da qualche nostro o detto o fatto inconsiderato e immoderato, o da qualche passata desidia e inerzia nostra ne perturbiamo, siaci non ingrato quel pentimento per quale impariamo odiare e fuggire ogni immodestia e intemperanza. E se, come dice Catullo poeta, a ciascuno è attribuito el suo errore, ma niun vede quanto a lui sia magro el dorso, giovici qualche volta avere errato dove indi ne riconosciamo fragili e non più divini che gli altri mortali. E così indi a noi stia un certo eccitamento e stimolo a meglio meritar di nostra industria e solerzia: Me dolor et lacrimae, — dicea Properzio poeta, — merito fecere disertum. E quanti, perché fastidirono suoi brutti costumi passati, divennero ornatissimi di vita e virtù! Scrive Elio Sparziano istorico che Adriano principe, beffato