Pagina:Alberti, Leon Battista – Opere volgari, Vol. II, 1966 – BEIC 9707880.djvu/153

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libro secondo 147

volere dispiacere a’ buoni e a’ savi. Bastici tanto acquistar fama e asseguir gloria fra el vulgo con nostre fatiche e vigilie quanto intendiamo per noi essere satisfatto a’ nostri ozii, e quanto conosciamo che chi ci loda e stima invero può affermarci iusti e temperanti e virtuosi. E de’ biasimi e favoleggiamenti qual forse venissero in nostro detrimento da’ nostri emuli, invidi e inimici, vorrebbesi potere essere di tanta maturità che noi statuissimo in noi uno animo qual più curasse essere in sé e buono e dotto che parere apresso degli altri. Dicono che all’uomo savio la coscienza sua è un grande celeberrimo teatro. Né cerca l’uom savio altri arbitri di suo vita e fatti che sé stessi. E aggiugneva Bion filosofo a queste sentenze che all’uomo perfetto in virtù era dovuto udire e’ detti altrui verso di sé iniuriosi, non con altro fronte e stomaco che se si recitasse una commedia in scena. E vorrebbesi, non niego, come e’ dicono, dall’infestazione degli inimici imparar mansuetudine per sapere poi viver lieto e iocondo co’ buoni amici. E certo quando e’ sia opera d’animo forte più el sofferire con mente equabile e non commossa e’ detti acerbi d’altrui, che con animo turbato vendicarsi, lodere’ io chi in questo frenasse sé stessi e moderassi gl’impeti e movimenti dell’animo suo. Ma poi che oggi così si vive come dicea quel poeta comico: lupo è l’uno uomo all’altro, — forse bisogna contro alle offese e sentirle e refutarle e vendicarle.

Vendetta si potrà fare niuna maiore che coll’opere buone render bugiardo chi di te mal parli. E sarà vendetta rara e massima se chi nulla vorrebbe, molto convenga lodarti, e chi molto vorrebbe, nulla possa biasimarti. Tu, voglio, scrisse Cicerone a Dolobella, coll’animo sia forte e saputo in modo che la tua moderanza e gravità infami l’iniuria altrui. E Planco a Cicerone scrive: «In questo piglio io voluttà che certo quanto più e’ mi odiano questi miei nemici, tanto maggior dolore apporta loro el non potere biasimarmi». E Socrate, offeso da que’ suoi poeti, ridea e dicea: «Voi con questi vostri motti illustriate ogni mia vita, e morsecchiandomi mostrate qual siano e’ vostri lezi, e qual sia la mia virtù. Tal porrà or mente a’ miei costumi che prima non mi curava; e tal mi amerà che mi conoscerà virtuoso, qual prima di me iudi-