Pagina:Alberti, Leon Battista – Opere volgari, Vol. II, 1966 – BEIC 9707880.djvu/23

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rime 17

     25Nostri concetti in noi non han fermezza;
nostre letizie brevi, rare e false;
nostri diletti mai son senza asprezza.
     Troppo felice se mai alcun valse
vincer sé stesso o ben reggersi amando!
30Costui su in cielo fra que’ divi salse.
     Io meschina pur seguo aspreggiando
me e chi m’ama, né so ch’io mi voglia:
amo ed ho in odio, e me vivo onteggiando.
     I’ resto mai di rinovar mie doglia:
35io dubiosa sempre stimo el peggio:
io fuggo ciò che dal mio mal mi stoglia.
     Che furia è questa, se io stessa eleggio
quel che né so né in me posso soffrire?
Tutto conosco, e nel mio mal mi reggio.
     40Aimè! aimè! E che giova garrire
pur a me stessi, e pur qui tormentarmi?
Breve rimedio può el mio mal finire:
     non dispettare a chi me ama, e darmi
lieta e ioconda a quanto Amor m’accede,
45né fuggir cosa qual s’adatti aitarmi.
     Che poss’io altro che amore e fede?
Stolta me, troppo stolta! E che poss’io
cosa aspettar maggior qual mio duol chiede?
     Costui me pregia, e sono a lui suo idio:
50questo me serve troppo, e io, doh, il strazio. 50
Mie colpa, adonque, piango l’error mio.
     Iniurio, e mai di vendicar mi sazio;
duoimi se fugge mie stranezze e gare,
ove a seguirmi do mai lieto spazio.
     55Non vorrei sanza amor vita, ed amare 55
quanto te amo, Archilago, mi duole:
duoimi esser vinta e convenir certare.
     S’Archilago men ama or che non suole,
e chi n’è altri ch’io cagion? Per tanto,
60stolta chi altri cerca ed ha ciò che vuole. 60