oimè! che doglie e guai,
e quanto stracca, 390oimè! anzi fiacca
el ricordarsi,
l’incolparsi:
i’ dovea,
i’ potea, 395e gastigarsi dapoi,
e gustar gli errori suoi,
e darsi el torto,
essere ardito e acorto
ove non giova 400né forza né prova
di saper, d’arte o d’inganno.
Oimè, oimè, che affanno!
oimè che doglia!
Ove cresce voglia 405el sperar scema.
Non abiate unque tema,
donne, non vi sfidate.
Che pur pensate,
che vi tenete a bade, 410ora che ’l tempo accade
a triunfar d’amore?
A che tenere in cuore
quel che vi strugge
e che vi cuopre d’ugge 415e tolvi ardire,
e potevi scoprire
meco a fé sicura?
Io so aver misura
nel parlar, 420nell’andar
e nello star muto,
e insieme essere astuto,
nescio e pronto;