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58 theogenius

tu in presenza vedi uccelletti con sue piume dipintissimi e ornatissimi, a chi non delettasse? Bellissimi, che d’ora in ora vengono con nuovi canti lodando i cieli a salutarmi! E questo qui presso argenteo e purissimo fonte, testimone e arbitro in parte delli studi mei, sempre m’arride in fronte, e quanto in lui sia, attorno mi si avolge vezzeggiando, ora nascondendosi fra le chiome di queste freschissime e vezzosissime erbette, ora con sue onde sollevandosi e dolce immurmurando bello m’inchina e risaluta, ora lieto molto e quietissimo mi s’apre, e soffre ch’io in lui me stesso contempli e specchi. Agiungi che qui niuno invido, niuno maledico, niuno ottrettatore fallace, qui iniquo niuno perturba la nostra quiete e tranquillità. Ma sediamo.

Microtiro. Piacemi. E che cose sono queste quali tu scrivi?

Teogenio. Antiquo mio costume, Microtiro. A me pesa, né posso sofferirmi in ozio, e dilettami in prima essercitarmi scrivendo. Occorsemi materia degna, né fia inutile, stimo, udirla da’ suoi princìpi. Molti de’ vostri fortunatissimi cittadini a me noti e familiari, quando in que’ tempi la fortuna con noi era facile e liberale, soleano vacui di maggiore sue cure pigliarsi faccenda a riprendermi e accusarmi taciturno e pervicace, e quanto e’ diceano, fantastico e bizzarro, quale contento di me stessi nulla degnava quella moltitudine data alla voluttà. E dolevagli ch’io offirmato, a chi pur me accusava e biasimava la mia taciturnità, solo rispondea quello antiquo detto di quel filosofo: me essere mai del mio tacere pentuto, ma ben trovarsi chi del parlare suo sia pentuto spesso; e pregavali non biasimassino colui che non altrove favellava che solo dove esso o dimandasse per imparare, o rispondesse per insegnare e riconfermare virtù e dottrina a sé e a chi l’ascoltasse; ché bene intendeva io quanto apresso simili oziosi e prodighi potevo né imparare né disputare di cosa alcuna degna. Ma poiché la nostra republica e cittadini testé, o ingiuria della fortuna, o forza e merito de’ costumi pravi e corrotti, caderono in calamità e miseria, io vedendo que’ medesimi antiqui miei riprenditori nelle cose avverse solliciti, seco stessi solinghi e tutti alieni da quelli suoi prima usati gesti e costumi non convenire lieti fra la moltitudine e ivi osservare forse troppa tristezza e