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286 istorietta amorosa

spesso si faceva alla finestra, e intanto ella sentì la tromba, la quale va sonando quando alcuna va alla giustizia, il quale suono gli parve uno coltello nel cuore. E fattasi alla finestra, vide lo stendardo della giustizia, e vedutolo, dalla grande angoscia occupati li sentimenti naturali, cadde adrieto in terra come morta. E presto tornata in sé, fecesi alla finestra; ed eccoti venire Ippolito tutto vestito di nero con molti canapi intorti alla gola fra due manigoldi, il quale alla prima ebbe volti gli occhi verso la finestra, e veduta Leonora, si scontraro insieme con gli sguardi. Allora Ippolito con un grandissimo sospiro volti gli occhi alla sua Leonora, con uno reverente inchino da lei tolse l’ultima licenza.

Leonora dolente più che mai altra fusse, conoscendo quivi non essere tempo da piangere, come furiosa discese la scala, e quivi aspettava che Ippolito arrivasse dinanzi alla sua porta. E quando Ippolito fu a riscontro, ed ella si gittò fuori della porta, e prese la briglia del cavallo dov’era il cavaliere, dicendo: «Fino che la vita mi starà in corpo, tu non menerai Ippolito alla morte la quale lui non ha meritato». E quivi scapigliata, lasciato il cavallo, gittò le sue braccia sopra il collo dell’amato Ippolito. Il cavaliere stupefatto del caso, vedendo la condizione del giovine e della fanciulla, cominciò a divenire timido e dubbioso che partito lui dovesse pigliare. La Signoria di Firenze, intesa la novità del caso, comandò che li giovani fussino menati dinanzi alli Signori. E quivi menato Ippolito legato con la corda intorno alla gola, e Leonora scapigliata, tutta piena di lacrime innanzi a tutto ’l popolo disse: «Niuno si maravigli, eccelsi Signori, di quello che io ho fatto, perché conoscendo io la manifesta e aperta ingiustizia, non solo ad Ippolito, il quale è mio legittimo sposo e marito, ma a ciascuna strana persona arei io fatto questo che io ho fatto a lui, però che, siccome a difensione della giustizia ciascuno debb’essere coadiutore, così a propulsione dell’ingiustizia ogni uomo debbe essere defensore. Quello che io ho difeso iuxta il mio potere è Ippolito, el quale è qui. Io non aiuto già un malfattore, anzi uno innocente; non aiuto uno strano, anzi il mio sposo, il quale non sono molti giorni in uno onestissimo luogo mi tolse per sua donna, e la notte che lui fu preso, veniva alla casa mia per consumare