Pagina:Alberti, Leon Battista – Opere volgari, Vol. III, 1973 – BEIC 1724974.djvu/350

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346 nota sul testo

rizzò la redazione volgare. La dedica del testo latino invece (che sviluppa la stessa materia della dedica del testo volgare) non solo ci fornisce il nome di Teodoro, ma spiega anche le ragioni della traduzione in latino e indica chiaramente che almeno questa è posteriore alla Pittura. Sembra probabile però, data la stretta somiglianza tra gli Elementi e i «rudimenta» del Lib. I della Pittura, e a giudicare dalla frase «meorum civium gratia edita» adoperata nella dedica al Gaza con riferimento alla redazione volgare, che questa dovesse risalire almeno al periodo del soggiorno fiorentino dell’Alberti se non adirittura allo stesso giro di tempo in cui stese l’opera maggiore sulla pittura1. Per la data della traduzione latina invece bisognerà forse scendere fino all’epoca di Niccolò V quando il Gaza fu a Roma insieme con l’Alberti (1450-55).

Si vede già dalle testimonianze manoscritte che, come nel caso della Pittura, la redazione volgare degli Elementi ha avuto molto meno fortuna di quella latina. Se l’opuscolo volgare fu effettivamente composto dall’Alberti per i suoi concittadini fiorentini, fatto sta che esso oramai sopravvive in due soli codici, ambedue di provenienza settentrionale e con forti impronte linguistiche del nord d’Italia. Sarà certamente passato attraverso altre copie, ora perdute, o che noi non siamo riusciti a rintracciare. Ma la tradizione manoscritta è non soltanto magra e non toscana, è anche piuttosto corrotta, e per ragioni evidenti. Basta leggerlo per rendersi conto delle forti possibilità di incorrere in errori ed omissioni nel trascriverlo: è un testo quasi da far impazzire il copista. Per fortuna, anche se presenta simili problemi per i copisti, la tradizione manoscritta della redazione latina ci offre un testo migliore e più completo, e con ciò la possibilità di correggere alcuni errori nella redazione volgare: entro certi limiti però, perché la versione più tarda non è una semplice traduzione, ma una redazione per certi rispetti più ampia che sembra anche aver subito ritocchi ulteriori alla dedica al Gaza. Conviene perciò trattare i due testi (come le due redazioni della Pittura) come indipendenti e interdipendenti allo stesso tempo.

Per il testo volgare ci siamo basati sul cod. V, servendoci liberamente però del meno corretto, ma talvolta più completo cod. H, e controllando la lezione con quella del testo latino (di cui si dirà sotto). Pare poco probabile che questi due codici riflettano la lingua dell’Alberti; e in questo caso siamo intervenuti alquanto più del solito per emendare

  1. Vedi vol. II, p. 182, 15 e cfr. A . Parronchi, Sul significato degli «Elementi di Pittura» di L.. B. Alberti, in «Cronache di archeologia e di storia dell’arte», 6, 1967, pp. 107 -15.