Pagina:Alberti, Leon Battista – Opere volgari, Vol. III, 1973 – BEIC 1724974.djvu/435

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appendice 431

renze, già notate da altri (cfr. Mancini in Vasari, Vite cinque, cit. infra, p. 113, n. 1), tra questo trattato e la descrizione particolareggiata dei vari ordini data nel De re aed., lib. VII, cap. vi-viii. In mancanza, dunque, di più sicuri indizi della paternità del trattato, non esitiamo ad escluderlo dal presente corpus delle opere volgari dell’Alberti.


5. Trattato dei Pondi, Leve e Tirari, pubblicato come «forse dell’Alberti» da G. Mancini in appendice alla sua ed. di G. Vasari, Vite cinque', Firenze, 1917, pp. 105 sgg.; per cui egli adoperò, non il cod. Chigiano cit. sopra, ma altri due manoscritti (Laur. Ashb. 361; Saluzziano 148), dove l’opera figura completa, ma priva sempre del nome dell’autore. È molto probabile che l’Alberti abbia effettivamente composto un trattato su questa materia (cfr. gli accenni nei Profugiorum ab aerumna libri, a p. 182 del vol. II, e nel De re aed., lib. VI, cap. viii; e vedi Mancini, ed. cit., pp. 114-16), ma è molto dubbio che quello contenuto in questi tre codd. sia lavoro dell’Alberti. La lingua e lo stile di esso sono troppo lontani dal modo di scrivere suo, e non è sufficiente per sostenere questa grave obiezione la sola presenza del trattato nel cod. Chig. VII, 149 dietro la Descriptio Urbis Romae albertiana e l’opuscolo sui cinque ordini già discusso sopra. Pare anzi, secondo il Mancini, ed. cit., p . 106, che il testo in questo cod. sia una copia (incompiuta) esemplata sul cod. Saluzziano, in cui, come abbiàmo già accennato, il trattato non porta nessuna attribuzione1.


6. Amiria - Efebie (Op. volg., V, 269-94; 297-321). Questi opuscoli si possono considerare insieme, perché vanno attribuiti tutti e due a Carlo Alberti, fratello di Battista. L’Amiria figura in un cod. solo, il cod. II. IV . 38 (F1) più volte citato, della Bibl. Naz. di Firenze, dove è intitolata Amiria Caroli Alberti e preceduta da una lettera di Carlo indirizzata a P. Codagnello e Roberto de’ Pepoli, in cui l’autore dichiara di aver tentato in quest’opera di imitare «quanto potea lo stile e modo di messer Battista mio fratello». Le ragioni addotte dal Bonucci per rovesciare la chiara attribuzione dell’unico e autorevole cod. vennero già impugnate dal Mancini (Vita cit., p. 59) e P. H . Michel (op. cit., p. 39) giustamente pone l’Amiria tra le opere apocrife dell’A. Meno

  1. Per altre osservazioni sui codici qui menzionati, vedi A. Parronchi, Di un manoscritto attribuito a Fr. di Giorgio Martini., negli «Atti dell’Accad. Toscana ‘La Colombaria’», Firenze, XXXI, 1966, pp. 165 sgg.