Pagina:Alberti - Della architettura della pittura e della statua, 1782.djvu/269

Da Wikisource.

247

DELLA ARCHITETTURA

di

leon batista alberti

libro decimo.


De difetti de gli edificii, onde naschino, quali sieno quelli, che si possono correggere, e quai no, da gli Architettori, et quai cose sien quelle, che faccino cattiva aria.

cap. i.


S
E da quì inanzi noi habbiamo a disputare de difetti da emendarsi de li edificii, e’ bisogna considerare quali sieno certamente quei difetti, che si possono dalle mani de li huomini emendare. Percioche i Medici in questo medesimo modo giudicano, che nel conoscere la qualità del male d’uno infermo, consista la somma de rimedii da guarirlo. Adunque i difetti de li edificii et publici, et privati, alcuni sono nati, et causati dall’Architettore, et alcuni vi sono stati portati d’altronde; et di questi ancora ad alcuni si può riparare con l’arte, et con l’ingegno, et ad alcuni altri non si può dare rimedio alcuno. Dall’Architettore procedono quelli, che noi dicemmo nel passato libro quasi mostrandosi a dito. Conciosia che alcuni sono difetti dell’animo, et alcuni de le mani; dell’animo sono l’elettione, lo scompartimento, la distributione, il finimento mal fatto, dissipato, et confuso. Ma i difetti de le mani: sono l’apparecchiamento de le cose, il provederle, il murarle, et metterle insieme poco accuratamente, et a caso, et simili, ne quai difetti i poco diligenti, et mal considerati facilmente incorrono. Ma i difetti, che procedono d’altronde, appena penso io che si possino annoverare; tanti sono, et tanto varii: infra i quali ci è quello, ch’e’ dicono, che tutte le cose sono superate, et vinte dal tempo, et che i tormenti de la vecchiaia sono pieni di insidie, et molto potenti, nè possono i corpi sforzarsi contro a’ patti de la natura, di non invecchiare, talmente, ch’alcuni pensano, che ’l Cielo stesso sia mortale, per questo solo, ch’egli è corpo, et sappiamo quanto possa l’ardore del Sole, quanto i diacci, quanto le brinate, et quanto i venti. Da questi tormenti veggiamo i durissimi sassi consumarsi, aprirsi, et infracidarsi; et col tempo spiccarsi da le alte ripe, et cadere sassi oltra modo grandissimi, talmente che rovinano con gran parte del Monte. Aggiugni a queste le villanie, che fanno gli huomini. Cosi mi guardi Dio, come alcuna volta io non posso fare, che e’ non mi venga a stomaco, vedendo che per stracurataggine di alcuni (per non dire cosa odiosa) che direi per avaritia, e’ si consente di disfare quelle muraglie, alle quali ha perdonato, mediante la loro maiestà, il barbaro, et l’infuriato nimico, et alle quali il tempo perverso, et ostinato dissipatore de le cose, acconsentiva, che ancora stessero eterne. Aggiugnici i casi repentini de fuochi, de le saette, de tremuoti, et de li impeti de l’acque, et de le inondazioni, et de l’altre molte cose, che di giorno in giorno l’impeto prodigioso de la natura ne puo arrecare, non più udite, fuor d’openione incredibili; mediante le quali cose si rovina, et si difetta qual si voglia ben ordinata, et ben fatta muraglia da qual si voglia Architettore. Platone diceva che la Isola Atlantea non minore che lo Epiro, se ne era ita in fumo. Mediante le istorie sappiamo

noi