Pagina:Albini - Il figlio di Grazia, Milano, Vallardi, 1898.djvu/32

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Quando cominciò a trotterellare da solo in gonnellina azzurra, la sua smania era d’afferrare, d’impadronirsi di tutto ciò che si moveva.

Fin da quando era ancora fra le braccia della mamma, egli agitava le manine tentando di prendere le sue labbra quando parlava: e quanti peli strappò alla barba del babbo per tentar di afferrare la sua lingua, ch’egli si divertiva a mostrargli e ritirare rapidamente! Non parliamo de’ suoi stupori per le foglie agitate dal vento, per gli uccelli che passavano nell’aria, per le galline che correvano per la casa, per le mosche che gli volavano intorno. Quando si senti padrone delle sue gambe, egli parve felice di poter finalmente precipitarsi su tutto ciò che aveva un movimento.

«Oh bè, oh bè, oh bè!» e pigliava la rincorsa, cadendo colle mani innanzi, mentre polli, tacchini e anitre scappavano starnazzando spaventate: un giorno lo trovarono lungo e disteso con un pulcino morto fra le mani.

Il veder altri bambini era pure per lui una festa! «Oh, bè! oh bèl oh bèl» e la sua facciona bianca e rossa rideva tutta, mentre le sue mani afferravano ricciolini e nasi su cui le sue unghiette lasciavano il segno.

Gli altri non contraccambiavano certo la sua cordialità. Era così grosso e i suoi movimenti così irriflessivi, che i suoi abbracci riuscivano delle strozzature e le sue carezze degli schiaffi. Non c’era una bambina che, a vederlo anche di lontano, non scappasse a nascondersi strillando fra le gonne della mamma.

La gran contentezza di Grazia cominciò ad offu-