Pagina:Albini - Il figlio di Grazia, Milano, Vallardi, 1898.djvu/33

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scarsi. «Quel tuo diavolone» dicevano le amiche parlando di Natale, e le chiedevano in tono pietoso come reggesse a stargli dietro tutto il giorno, a badare che non facesse malestri ogni momento.

Oh, Dio, com’era possibile pensare che fosse una fatica per lei? Ma se era l’allegria, la gioia delle sue giocate, se ogni malestro era una prova della sua robustezza e della sua intelligenza!

Bisognava star con lui tutto un giorno per capire che caro bambino egli fosse! Ma Grazia non diceva che caro bambino egli fosse! Ma Grazia non diceva tutto questo alle amiche; che necessità? non le avrebbero creduto. E taceva, ma soffriva. Non era orse un’ingiustizia che si giudicasse come una prepotenza e uno sgarbo ciò ch’era invece espansione e gentilezza? Che colpa aveva lui, povero bambino, se la sua robustezza gli faceva esprimere i suoi sentimenti troppo energicamente?

Grazia se ne crucciava, quand’era sola in casa col bimbo che dormiva in un angolo della cucina, così bello col suo faccione rosso e i riccioloni biondi, e le lunghe ciglia scure che segnavano un’ombra sulle su gote. Sola, senza distrazioni, ella lo stava a guardare pensando impaurita all’invidia che aveva suscitato intorno a sè quella bella creatura, all’ingiustizia ci cui era vittima, e il cuore le si empiva d’amarezza e gli occhi di lagrime; ma bastava che il bambino spalancasse gli occhi o tornasse Bernardo, per ridere de’ suoi crucci.

Oh, la gente del paese!... che gliene importava a lei? Non ammiravano più il loro Natale? tanto meglio: la lasciavano quieta in casa sua a goderselo.

Ma non poteva star sempre in casa.

La domenica lo portava a messa con sè, ma mentre