Pagina:Albini - Il figlio di Grazia, Milano, Vallardi, 1898.djvu/65

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«Gnau, maramâo!» fece Nocente con una smorfia e scappò fuori: ma arrivato al di là della soglia, fece coi piedi come le galline, raspò nella terra e la fece volar indietro fino a mezzo della cucina.

«Ah, monello! maleducato!» gridò Grazia sdegnata «provati a tornare se ne hai il coraggio!»

Non tornò più, perchè non era coraggioso che da lontano, Nocente; ma riversò sulla sua sorellina il dispetto di non poter entrare in casa di Grazia.

Raffaella quell’estate ci venne ogni giorno: e spesso arrivava cogli occhi rossi, qualche volta con dei segni lividi sulla faccia, ma la sua bocchina era sempre ridente.

«Che cos’hai? Sei caduta? ti sei fatta male?... La mamma forse t’ha sgridata?...»

«No, no,»

«.... forse è stato Nocente?»

«È un po’ cattivo, Nocente; ma non mi ha fatto tanto male,» diceva la piccina con una scrollatimi i testa, come se fosse rassegnata a portare la sua croce.

«Ma cosa t’ha fatto? raccontami! Ti ha picchiato?» le chiedeva Grazia pigliandosela in grembo.

«Non so.... È un po’ cattivo. Ma non mi ha fatto tanto male. Appena un po’» ripeteva sempre sullo stesso tono, sorridendo, proprio per persuadere che non c’era da farne gran caso, perchè era destino di Nocente di picchiare e il suo di pigliarle.

Natale l’ascoltava, dritto davanti a lei, colle mani incrociate di dietro e la faccia rabbuiata, come immerso in una seria riflessione, e per un poco non era possibile farlo parlare nè giocare.

Un giorno chiese alla bambina:

«Perchè non gli dài anche tu un pugno?»