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giovani e serene di spirito per non gettare ombra sulla loro vita.

Ancora, sapete, in certe famiglie eccessivamente pie e nelle piccole città, vi sono giovinezze che sfioriscono senza aver conosciuta la primavera: tutte piegate sui rammendi e i ricami, con nessuna altra distrazione che le funzioni religiose e qualche serata famigliare fra gente ugualmente posata e malinconica, o letture ad alta voce intorno alla tavola di lavoro.

Io ricevo tratto tratto lettere che mi rivelano drammi intimi strazianti: ebbi anche due visite furtive di fanciulle (una tornava con la cameriera dalla chiesa, un’altra trovò modo di farsi accompagnare da un’amica). Mi si buttarono nelle braccia, mi baciarono il vestito tutte turbate e con gli occhi umidi; avevano visto da un’amica qualche numero della Rivista per le Signorine, quindi sapevano che io amo le fanciulle, che le capisco, e affrettatamente vollero dirmi quanto fossero sventurate.

Oh triste, triste a dirsi! Io chiesi: «Non ha più la mamma forse?» «Oh, no, c’è; sta bene». «Ha il babbo...» «C’è c’è, sta bene».

Ah, v’è dunque un’infelicità che eguaglia

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