Pagina:Alcuni discorsi sulla botanica.djvu/116

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mente delle schiatte semitiche sono pieni di lodi degli alberi. Dagli alberi i prosatori e poeti loro tolgono le più belle immagini, i più acconci paragoni; degli alberi si valgono a simboleggiare gli affetti più puri, i sentimenti più soavi dell’animo. Al bel fusto della Palma leggermente ondeggiante, quando è commossa dal vento, i Poeti arabi paragonano spesso la persona e il portamento delle loro innamorate. I decantati Cedri del Libano sono per gli scrittori dei popolo Ebreo simbolo della potenza, della gloria. Da tempo immemorabile per tutto l’Oriente il Fico è l’immagine più popolare della innocente e beata vita patriarcale, il Gelso dell’industria operosa. E appunto dall’Oriente è a noi venuto il pio costume di ombreggiare col Cipresso le vie ai cimiteri, col Salice dai rami piangenti le tombe dei cari estinti. Ma anche in questo i Greci come in ogni altra cosa, che tocchi il bello, a cui li disponeva sì maravigliosamente la natura dell’ingegno loro, per vaghezza di comparazioni, per leggiadria di colori passarono innanzi ad ogni altro popolo della antichità pagana. Non pochi alberi erano nelle credenze di quella nazione gentilmente immaginosa posti sotto la speciale tutela di questo o di quel Dio, a Lui sacri e devoti. Chi non sa che il Pino era dai Greci dedicato a Cibele, il Pomo granato a Mercurio, il Noce e la Quercia a Giove, il Lauro ad Apolline, l’Olivo a Minerva, il Mirto a Venere, ed il Pioppo ad Ercole?