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34 | SCHILLER |
E Carlo:
Ah! tu non sai
Qual padre io m'abbia ....
Filippo è quei che m'odia; egli dà norma
Alla servil sua turba.
Io d'esser figlio
Un dì potessi, ed allentare il freno
Ai repressi lamenti; ei non mi udrebbe
Doler, no mai, nè dei rapiti onori,
Nè della offesa fama, e non del suo
Snaturato, inaudito odio paterno;
D'altro maggior mio danno io mi dirrèi ...
- Tutto ei mi ha tolto il dì che te mi tolse.
E Carlo non potesta di star genuflesso in eterno anche con perìcolo manifesto della regina; ma si rassegna a quel tènero e casto addio d'Isabella:
Teco i miei pensieri,
Teco il mio core, e l'alma mia ...
Ma de' passi miei
Perdi la traccia. fa ch'io più non t'da,
Mai più!
È ben vero che a questra tràgicaa dignità s'inalza tratto, ma troppo raramente, anche la regina di Schiller:
Il mio dover lo vieta.
Mìsero! che vi giova una infelice
Indàgine del fato a cui n'è forza
Sopporne entrambi ed obedir?
E seco lei s'inalza anche Don Carlo:
Perduta io v'ho! perduta
Eternamente! Il fatal dado è tratto.