Pagina:Aleardi - Canti, Firenze 1899.djvu/491

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poemetto giovanile. 451

Era il sudario ch’io bramava estinto....
Men triste or muoio.... Benedico Iddio,
S’Ei mi concede ch’io non vegga vivo
La servitù di quest’isola mia.
Ma che sarà di questa creatura?
Che sarà mai d’Arnalda? — Odimi, Nello:
Se mai t’arrise amor ai dì giocondi
Per questa che tra poco orfana fia,
E l’anima cortese, e le sembianze,
E la mestizia non ti fûr discare,
Deh! ch’ella trovi ai giorni del dolore
In te l’amor del padre e de la madre!
Ella è tua.... la proteggi.”

                                                    E il cavaliero
Con un gaudio accorato a la fanciulla
Porgea la mano nuzïal.
                                          Sorrise
Il moribondo, e più commosse e roche
Gli uscían dal petto le parole:

                                                           “Io scendo,
Nello, a la tomba poveretto. I nostri
Vezzi dimani adorneran le molli
Odalische dei ladri: entro i giardini
Pascoleranno le cavalle turche...
Volge Nicósia in cenere... Le vampe
Del mio palagio esser dovean le tede
Pronube de la vostra ara!... Di tanta
Ricchezza che sparì, solo vi lascio
Quello che non potean tutti rapirmi
Congiurati gli Osmani, e la fortuna:
La veneranda vanità d’un nome
Invïolato; e a te, Nello, quest’una