Pagina:Alencar - Il guarany, I-II, 1864.djvu/102

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solitudine della sua anima, tanto sterile di dolci memorie, di care speranze.

Tutta quella sera era stata un martirio per lei; avea veduto Alvaro favellare a Cecilia, e indovinato quasi le sue parole.

Pochi momenti innanzi avea visto l’ombra del giovane, che attraversava lo spianato, e sapeva che non era per lei che passava di là.

Di quando in quando le sue labbra tremavano, e lasciavano sfuggire alcune parole impercettibili:

— Se io volessi!

Traeva dal seno un monile d’oro, sotto il cui coperto di cristallo vedeasi un anello di capelli.

Che ci aveva entro quel monile di sì potente, di sì forte, che giustificasse quell’esclamazione, e quello sguardo brillante che illuminava la nera pupilla di Isabella?

Sarebbe un secreto, uno di quei secreti terribili, che mutano di repente la faccia delle cose, e fanno sorgere il passato per annientare il presente?

Sarebbe qualche tesoro inestimabile e favoloso, alla cui seduzione la natura umana non saprebbe resistere?

Sarebbe un’arma potente e invincibile, contro cui non ci avrebbe difesa possibile, se non per un miracolo della Providenza?

Non lo sappiamo; il monile non si aprì.

Isabella applicò le labbra al cristallo con una specie di delirio.

— Madre mia!... madre mia!...

Un singhiozzo le scoppiò dal seno.