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nostro arrivo per grazia della Providenza in cotesta città di San Salvatore.»
Nell’atto che il frate sforzavasi a leggere, il moribondo agonizzava nella massima afflizione, aspettando forse l’assoluzione finale e l’estrema unzione del penitente.
Ma il religioso non vedea in quel momento se non la carta che avea tra le mani; lasciossi cadere sopra una panca, e col capo sostenuto sul braccio, si abbandonò a una profonda meditazione.
A che pensava egli?...
Non pensava; delirava. Avanti a’ suoi occhi l’immaginazione esaltata rappresentavagli un mare d’argento, un oceano di metallo fuso, bianco e risplendente, che andava a perdersi nell’infinito.
Le onde di questo mare d’argento ora si accavalcavano, ora rotolavano formando fiocchi di spuma, che parevano fiori di diamanti, smeraldi e rubini scintillanti alla luce del sole.
Alle volte su quella superficie liscia e tersa disegnavansi, come in uno specchio, palagi incantati, donne belle come le Uri del profeta, vergini graziose come gli angeli di Nostra Signora del Monte Carmelo.
Scorse in tal modo mezz’ora; il silenzio era appena interrotto dal rantolo del moribondo e dal muggito dei tuoni: dipoi udissi una calma sinistra; il peccatore spirava impenitente.
Frate Angelo si levò in piedi, si strappò l’a-