Pagina:Alencar - Il guarany, II, 1864.djvu/60

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— Non so quello che vogliate dire; replicò il giovane seccamente.

— Dico, signor cavaliere, che due uomini che si odiano, trovansi più a loro agio in un luogo solitario, che nel mezzo dei loro compagni.

— Non è odio che m’inspirate, è disprezzo; è più che disprezzo, è fastidio. Il rettile che striscia sul suolo mi cagiona minor ribrezzo che il vostro aspetto.

— Non disputiamo a vane parole, signor cavaliere; tutto viene allo stesso: io vi odio, voi mi disprezzate; potrei dirvi altrettanto.

— Sciagurato!... sclamò il cavaliere portando la mano alla guardia della spada.

Il movimento fu tanto rapido, che la parola suonò al tempo stesso che la punta della lama d’acciaio sulla faccia dell’avventuriere.

Loredano volle evitare l’insulto, ma non fu più in tempo; i suoi occhi s’iniettarono di sangue;

— Signor cavaliere, mi dovete soddisfazione dell’insulto che mi avete fatto.

— È giusto, rispose Alvaro con dignità; ma non colla spada, che è arma da cavaliere; traete il vostro pugnale da masnadiere, e difendetevi.

Pronunziando queste parole, il giovane rinfoderò la spada con tutta la calma, rassicurò alla cintura perchè non gli fosse d’impaccio nei movimenti, e trasse il suo pugnale, eccellente lama di Damasco e unico retaggio di suo padre.

I due nemici si mossero incontro, e s’investirono: Loredano era agile e forte e difendeasi