Pagina:Alencar - Il guarany, III-IV, 1864.djvu/216

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dell’embaiba e goccie di balsamo, quel sandalo del Brasile.

La giovane pose in una di quelle conchiglie la maggior parte di quei profumi, e accese alcuni grani di belzuino; l’olio di cui erano imbevuti, alimentando la fiamma, fece sì che il fuoco si comunicò alle altre resine.

Globi di fumo bianchiccio, carico di profumi inebbrianti, s’innalzarono in grosse spirali da quel turibolo, e riempirono la camera di nuvole trasparenti, che oscillavano alla luce pallida del cero.

Isabella, seduta in sulla prodicella del letto, colle mani del suo amante nelle proprie, e cogli occhi rapiti in quella cara immagine, balbettava quelle frasi mozze, quelle confidenze intime, que’ suoni inarticolati, che sono il vero linguaggio del cuore.

Talora sognava che Alvaro ancora viveva, che le susurrava all’orecchio la confessione del suo amore; ed ella gli rispondeva, come se fosse ascoltata, gli narrava i secreti della sua passione, versava tutta la sua anima nelle parole che le cadevano dalle labbra.

La sua mano dilicata spartiva i capelli del giovane, ne scopriva la fronte, ne accarezzava la faccia gelata, e vezzeggiava quelle labbra fredde e mute, come per chieder loro un sorriso.

— Perchè non mi parli? Mormorava ella dolcemente. Non conosci la tua Isabella?... Ripetimi che mi ami! Ripetimi quella parola, affinchè