Pagina:Alencar - Il guarany, III-IV, 1864.djvu/217

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l’anima mia non dubiti della felicità! Te ne supplico!...

E coll’orecchio teso, le labbra semiaperte, il seno palpitante attendeva il suono di quella voce prediletta, e l’eco di quella prima ed ultima parola del suo amore infelice.

Ma solo le rispondeva il silenzio: il suo petto aspirava a stento le onde di quei profumi inebbrianti, che facevano circolare nelle sue vene una fiamma ardente.

La camera presentava allora un aspetto fantastico; nel fondo oscuro disegnavasi un cerchio rischiarato, avvolto da una folta nuvola.

In quella sfera luminosa vedevasi, come nel mezzo di una visione, Alvaro giacente sul letto, e Isabella inchinata sul volto del suo amante, cui continuava a parlare, come se egli l’ascoltasse.

La fanciulla già si sentiva venir meno il respiro; il suo seno oppresso la soffocava; e frattanto una voluttà ineffabile la inebbriava; un gaudio immenso ci avea in quell’asfissia di profumi, che si condensavano e rarefacevano l’aria.

Stupefatta, perduta, abbagliata rizzossi, il suo seno si dilatò, e la sua bocca, aprendosi a metà, si posò sulle labbra fredde e gelate dell’amante; era quello il suo primo ed ultimo bacio, il suo bacio di sposa.

Fu un’agonìa lenta, un letargo orribile, ove il dolore lottava col gaudio, ove le sensazioni racchiudevano l’estremo del piacere e della sofferenza al tempo stesso, ove la morte, torturando il corpo, versava nell’anima un effluvio celeste.