Pagina:Alencar - Il guarany, III-IV, 1864.djvu/285

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Pery avea parlato in quel tuono inspirato che dà la fede profonda, con quell’entusiasmo proprio delle anime ripiene di poesia e di sentimento.

Cecilia l’ascoltava sorridente, e bevea ad una ad una le sue parole, come fossero parte dell’aria che respirava; pareale che l’anima del suo amico, quell’anima nobile e bella, si sciogliesse dal corpo a ciascuna di quelle frasi solenni, e trapassasse nel suo cuore aperto a riceverla.

L’acqua salendo bagnò le punte delle larghe foglie della palma, e una goccia scorrendo lungo il ventaglio andò a umettare i candidi lini di Cecilia.

La fanciulla, per un moto istintivo di terrore, si ristrinse attorno al suo amico; e in quel momento supremo, in cui l’inondazione apriva le sue fauci enormi per inghiottirli, mormorò dolcemente:

— Dio mio!... Pery!...

Allora seguì su quel vasto deserto d’acqua e di cielo una scena stupenda, eroica, sovrumana; uno spettacolo grandioso, una sublime follia.

Pery, preso da disperazione, delirante, si sospese ai cipò, che si intrecciavano ai rami degli alberi già coperti d’acqua, e con uno sforzo erculeo, cingendo colle braccia poderose il tronco della palma, lo fece crollare fino alle radici.

Tre volte i suoi muscoli d’acciaio, contraendosi, inclinarono il tronco robusto, e tre volte