Pagina:Alencar - Il guarany, III-IV, 1864.djvu/32

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occorreva che rimuovere il piè e lasciar inclinare la tavola sull’abisso.

Frattanto esitava, non perchè il rimorso anticipato gli rimproverasse il delitto che stava per commettere; che già si era sprofondato di troppo nel vizio e nella depravazione per indietreggiare.

Ma Loredano esercitava sopra i suoi complici un tal fascino, un’influenza sì possente, che Ruy, in quello stesso istante, non era capace di sottrarvisi.

Stava sospeso sull’abisso per man sua; potea egli salvarlo o precipitarlo giù pel dirupo; e tuttavia in quella stessa posizione facea forza sul proprio animo.

Ruy avea paura: non comprendeva il motivo di quel terrore irresistibile, infondato; ma lo sentiva come un invasamento, un pesaruolo.

In quel mentre l’immagine della ricchezza splendida, brillante, raggiando fasti e grandezze, passava davanti a’ suoi occhi e lo abbacinava; un poco di coraggio, e sarebbe l’unico signore di quel tesoro favoloso, del cui secreto Loredano era depositario.

Ma questo coraggio era appunto la cosa che gli mancava; per due o tre volte l’avventuriere sentì come una tentazione a sospendersi alla trave e lasciar piombare la tavola nell’abisso; ma questa tentazione non passò oltre il desiderio.

Alla fine, in un istante di svagamento, i suoi ginocchi si curvarono, e la tavola fece un’oscillazione sì forte, che Ruy maravigliossi come Loredano avesse potuto tenersi in bilico.