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ii. del principe e delle lettere
 



a cui bisogna piacere e compiacere per ottenerli: e il piacere e compiacere a codesti assoluti premiatori, non si può certamente accordare col piacere a se stesso, al retto ed al pubblico. La gloria all’incontro, essendo un premio ideale, ed un mero nome, nulla toglie a chi la dá; per essere ella data dai molti, non si può mai dir sorrepita; e per essere ella legittimamente ottenuta in semplice dono dai molti datori, ella porta con sé ai pochi che la ottengono l’impareggiabile eterna prova, che quei soli pochissimi erano pur riusciti nella difficilissima impresa di piacere, compiacere e giovare ai molti uomini. Lo scrittore veramente sublime non può dunque mai abbisognar d’altro che di semplice gloria; perché se egli d’altro abbisognava prima d’esser sublime, non ha certamente potuto divenir tale, appunto perché proponevasi egli un fine niente sublime; ma s’egli è caduto in bisogno dopo di avere ottimamente composto i suoi libri, la intatta sua fama e le immacolate egregie sue opere gli avranno certamente procacciato qualche virtuoso amico che, prevenendo i bisogni suoi, lo impedirá di contaminarsi in appresso. Ma se pur fosse possibile che egli un tale amico non ritrovasse, lo scrittor d’alte cose, in qualunque stato ridotto ei si veda, non potrá mai apporvi rimedio che alto non sia.

Pascano adunque i principi e i loro sgherri e soldati, e i loro giumenti, cortigiani, servi e buffoni; si ricompensino con ricchezze onori e gloria i sommi guerrieri dalle vere repubbliche; ma, con la sola e purissima gloria si guiderdonino i letterati dagli uomini tutti.

Capitolo Duodecimo

Quai premi avviliscano meno i letterati.

Pure, non voglio io per una severitá che in questi snervati secoli parrebbe soverchia (benché soverchio non sia mai ciò ch’è vero) privare gli scrittori, che uomini sono anch’essi pur troppo,