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libro iii - capitolo iv
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vivere civile, ogni virtuoso sforzo dell’uomo, ogni vera e durevole felicitá, ogni importante superioritá d’un popolo su l’altro, queste cose tutte, non sono elle nate pur sempre da libertá e da virtú? e non sono elle sempre sparite, all’apparire della schiavitú e dei vizi che di necessitá ne derivano?

Veniamo ora a Sparta. Quella sua maschia feroce virtú e libertá, che sí lungamente durò con maraviglia dei greci stessi, avvezzi pure a raccogliere il frutto delle ben fatte e ben osservate leggi; quella sublime Sparta non era ella interamente figlia di Licurgo? E Licurgo quale altra scienza coltivò mai né conobbe, fuorché quella del cuore dell’uomo e del retto? Che se Sparta in appresso non volle ammettere letterati nessuni, ciò fu perché inutili affatto i veri letterati riuscivano lá dove le severe leggi accendendo i cittadini a virtú; insegnamento era e diletto il praticarla a gara con sovrannaturale furore; e perché i falsi letterati sussistere non poteano certamente lá dove regnava la sola virtú. Ma i poeti nondimeno, come caldissimi ed efficacissimi encomiatori di virtú, o nascevano a Sparta, o vi erano accolti e ascoltati, ancorché stranieri. Tirteo e le sue maschie odi militari ne fanno prova. Oratori avea Sparta pur anche, e di ben altro nerbo forse, che Atene; appunto perché a piú maschi, risentiti animi, più forte e men lungo parlare abbisognasi. Non avea Sparta, no, di quegli oratori e poeti, da’ quali piú assai diletto che utile traendo si vada: e a ben costituita repubblica, non solamente necessari costoro non sono, ma potrebbero anzi piú nuocerle assai che giovarle, perché in un tal governo il maggior diletto vien giustamente riposto nel sempre e bene operare; ed il molto leggere non si scompagna mai dallo starsi. Quanto alle scienze, Sparta né i nomi pur ne conobbe.

Roma, se non per istituzioni e virtú, per vicende e grandezza almeno, assai piú illustre di Sparta e di Atene, Roma ricevea pure l’impulso della virtú militare che mai non perdette, da Romolo; alle civili e religiose virtú da Numa; alla libertá e grandezza, da Bruto. E Bruto, e Numa, e Romolo stesso, erano, sovra ogni cosa, conoscitori profondi, e scaltri commovitori del cuore umano e delle sue tante passioni; ciò viene a