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libro i - capitolo v
25



Capitolo Quinto

Dell’ambizione.

Quel possente stimolo, per cui tutti gli uomini, qual piú qual meno, ricercando vanno di farsi maggiori degli altri e di sé; quella bollente passione, che produce del pari e le piú gloriose e le piú abbominevoli imprese, l’ambizione in somma, nella tirannide non perde punto della sua attivitá, come tante altre nobili passioni dell’uomo, che in un tal governo intorpidite rimangono e nulle. Ma l’ambizione nella tirannide, trovandosi intercette tutte le vie e tutti i fini virtuosi e sublimi, quanto ella è maggiore, altrettanto piú vile riesce e viziosa.

Il piú alto scopo dell’ambizione, in chi è nato non libero si è di ottenere una qualunque parte della sovrana autoritá; ma in ciò quasi del tutto si assomigliano e le tirannidi e le piú libere e virtuose repubbliche. Tuttavia, quanto diversa sia quell’autoritá parimente desiata, quanto diversi i mezzi per ottenerla, quanto diversi i fini allor quando ottenuta siasi, ciascuno per se stesso lo vede. Si perviene ad un’assoluta autoritá nella tirannide, piacendo, secondando e assomigliandosi al tiranno; un popolo libero non concede la limitata e passeggera autoritá, se non se a una certa virtú, ai servigi importanti resi alla patria, all’amore del ben pubblico in somma, attestato coi fatti. Né i tutti possono volere altro utile mai che quello dei tutti; né altri premiare se non quelli che arrecano loro quest’utile. È vero nondimeno che possono i tutti alle volte ingannarsi, ma per breve tempo; e l’ammenda del loro errore sta in essi pur sempre. Ma il tiranno, che è uno solo ed un contra tutti, ha sempre un’interesse non solamente diverso, ma per lo piú direttamente opposto a quello di tutti: egli dée dunque rimunerare chi è utile a lui; e quindi, non che premiare, perseguitare e punire debb’egli chiunque veramente tentasse di farsi utile a tutti.