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libro i - capitolo xiii
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altro rimedio da opporre, piú efficace che la semplice opinione. Quindi volendo essi concedere a queste mal ripartite ricchezze uno sfogo che ad un tempo circolare le faccia, e non distrugga del tutto la libertá, persuaderanno ai ricchi d’impiegarle in opere pubbliche; onoreranno questo solo loro fasto, annettendo un’idea di disprezzo a qualunque altro uso che ne facessero i ricchi nella loro privata vita, oltre quella decenza e quegli agi ragionevoli, richiesti dal loro stato e compatibili colla pubblica decenza. I liberi governi persuaderanno ad un tempo agli uomini poveri, (non intendo con ciò dire ai pezzenti) che non è delitto né infamia l’essere tali; e lo persuaderan facilmente, coll’accordare a questi non meno che agli altri l’adito a tutti gli onori ed uffizi. E non per insultare alla miseria escludo io principalmente i necessitosi, ma perché costoro, come troppo corrottibili, e per lo piú vilmente educati, non sono meno lontani dalla possibilitá del dritto pensare e operare, di quel che lo siano, per le ragioni appunto contrarie, i ricchissimi.

Ma queste saggie cautele riusciranno puranche inutili a lungo andare. La natura dell’uomo non si cangia; dove ci sono ricchezze grandi e disugualmente ripartite, o tosto o tardi, dée sorgere un gran lusso fra i privati, e quindi una gran servitú per tutti. Questa servitú difficilmente da prima si può allontanare da un popolo dove alcuni ricchissimi siano, e poverissimi i piú; ma quando poi ella si è cominciata a introdurre, provato che hanno i ricchissimi quanto la universal servitú riesca favorevole al loro lusso, vivamente poi sempre si adoprano affinch’ella non si possa piú scuoter mai.

Sarebbe dunque mestieri, a voler riacquistare durevole libertá nelle nostre tirannidi, non solamente il tiranno distruggere, ma pur troppo anche i ricchissimi, quali che siano; perché costoro, col lusso non estirpabile, sempre anderan corrompendo se stessi ed altrui.