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ATTO SECONDO

SCENA PRIMA

Giocasta, Creonte.

Creon. Deh! fine omai poni al lungo tuo pianto.

Questo dí stesso, che parea di stragi
apportatore, non fia spento forse,
che vedrem pace in Tebe. Un orror tale
seppi inspirar di cotant’empia guerra
d’Eteócle nel cor, che in mente quasi
di ristorar la víolata fede
fermo egli ha; dove il fratel suo pur cangi
minacce in preghi.
Gioc.   Oggi i fraterni sdegni
fine avran, sí; ma il fin qual fia? sta scritto
nei fati; e il ciel soltanto il sa. Deh! fosse,
qual men lusinghi tu! Null’altra speme
pria di morir m’avanza... A pace alquanto
d’Eteócle il superbo animo dunque
piegar potevi? Io ’l crederò. Ma, resta,
resta a placarsi inacerbito il core
dell’esul figlio. Io piangerò; che posso
poco altro omai: preghi, minacce, e preghi,
mescendo andrò; ma il sai, non sono io madre
pari all’altre; né vuol ragion, ch’io speri
quel, ch’io non merto, filíal rispetto.