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atto secondo 181
di Tebe un re, (che tale egli è pur sempre)

di Tebe un re, ch’esul, ramingo, cieco,
spettacol nuovo a Grecia tutta appresta:
duo fratelli che svenansi; fratelli
del padre lor; figli d’incesta madre
a te sorella, e di sua man trafitta:
vedi or di nomi orribile mistura,
e di morti, e di pianto. Ecco la strada,
ecco gli auspicj, onde a regnar salisti.
Ahi padre! esser puoi lieto?
Creon.   Edippo solo
questa per lui contaminata terra,
col suo piú starvi, alla terribil ira
del ciel fea segno; era dover, che sgombra
fosse di lui. — Ma i nostri pianti interi,
figlio, non narri. Ahi scellerato Edippo!
che non mi costi tu? La morte io piango
anco d’un figlio; il tuo maggior fratello,
Menéceo; quei, che all’empie e stolte fraudi,
ai vaticinj menzogneri e stolti
di un Tiresia credé: Menéceo, ucciso
di propria man, per salvar Tebe; ucciso,
mentre pur vive Edippo? Ai suoi delitti
poca è vendetta il suo perpetuo esiglio. —
Ma, seco apporti ad altri lidi Edippo
quella, che il segue ovunque i passi ei muova,
maledizion del cielo. Il pianger noi,
cosa fatta non toglie; oggi il passato
obliar dessi, e di Fortuna il crine
forte afferrare.
Emone   Instabil Dea, non ella
forza al mio cor farà. Del ciel lo sdegno
bensí temer, padre, n’è d’uopo. Ah! soffri,
che franco io parli. Il tuo crudel divieto,
che le fiere de’ Greci ombre insepolte
varcar non lascia oltre Acheronte, al cielo