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182 antigone
grida vendetta. Oh! che fai tu? di regno

e di prospera sorte ebbro, non pensi,
che Polinice è regio sangue, e figlio
di madre a te sorella? Ed ei pur giace
ignudo in campo: almen lo esangue busto
di lui nepote tuo, lascia che s’arda.
Alla infelice Antigone, che vede
di tutti i suoi l’ultimo eccidio, in dono
concedi il corpo del fratel suo amato.
Creon. Al par degli empj suoi fratelli, figlia
non è costei di Edippo?
Emone   Al par di loro,
dritto ha di Tebe al trono. Esangue corpo
ben puoi dar per un regno.
Creon.   A me nemica
ell’è...
Emone   Nol creder.
Creon.   Polinice ell’ama,
e il genitor; Creonte dunque abborre.
Emone Oh ciel! del padre, del fratel pietade
vuoi tu ch’ella non senta? In pregio forse
piú la terresti, ove spietata fosse?
Creon. Piú in pregio, no; ma, la odierei pur meno. —
Re gli odj altrui prevenir dee; nemico
stimare ogni uom, che offeso ei stima. — Ho tolto
ad Antigone fera ogni pretesto,
nel torle il padre. Esuli uniti entrambi,
potean, vagando, un re trovar, che velo
fesse all’innata ambizíon d’impero
di mentita pietade; e in armi a Tebe,
qual venne Adrasto, un dí venisse. — Io t’odo
biasmare, o figlio, il mio divieto, a cui
alta ragion, che tu non sai, mi spinse.
Ti fia poi nota; e, benché dura legge,
vedrai, ch’ella era necessaria.
Emone   Ignota