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atto secondo 183
m’è la ragion, di’ tu? ma ignoti, parmi,

ten son gli effetti. Antigone può in Tebe
dell’esul padre, e del rapito trono,
e del fratello che giace insepolto,
non la cercando, ritrovar vendetta.
Mormora il volgo, a cui tua legge spiace;
e assai ne sparla, e la vorria delusa;
e rotta la vorrà.
Creon.   Rompasi; ch’altro
non bramo io, no; purché la vita io m’abbia
di qual primier la infrangerá.
Emone   Qual fero
nemico a danno tuo ciò ti consiglia?
Creon. — Amor di te, sol mi v’astringe: il frutto
tu raccorrai di quanto or biasmi. Avvezzo
a delitti veder ben altri in Tebe
è il cittadin; che può far altro omai,
che obbedirmi, e tacersi?
Emone   Acchiusa spesso
nel silenzio è vendetta...
Creon.   In quel di pochi;
ma, nel silenzio di una gente intera,
timor si acchiude, e servitú. — Tralascia
di opporti, o figlio, a mie paterne viste.
Non ho di te maggior, non ho piú dolce
cura, di te; solo mi avanzi; e solo
di mie fatiche un dí godrai. Vuoi forse
farti al tuo padre, innanzi tempo, ingrato? —
Ma, qual di armati, e di catene suono?...
Emone Oh! chi mai viene?... In duri lacci avvolte
donne son tratte?... Antigone! che miro?...
Creon. Cadde l’incauta entro mia rete; uscirne
male il potrá.