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284 agamennone
il cor ti avvampi: involontario affetto

misto a pietá, che giovinezza inspira
quando infelice ell’è; son questi gli ami,
a cui, senza avvedertene, sei presa.
Di te finor chiesto non hai severa
ragione a te: di sua virtú non cadde
sospetto in cor conscio a se stesso; e forse
loco non ha: forse offendesti appena,
non il tuo onor, ma del tuo onor la fama:
e in tempo sei, ch’ogni tuo lieve cenno
sublime ammenda esser ne può. Per l’ombra
sacra, a te cara, della uccisa figlia;
per quell’amor che a me portasti, ond’io
oggi indegna non son; che piú? ten priego
per la vita d’Oreste: o madre, arrétra,
arrétra il pié dal precipizio orrendo.
Lunge da noi codesto Egisto vada:
fa che di te si taccia; in un con noi
piangi d’Atride i casi: ai templi vieni
il suo ritorno ad implorar dai Numi.
Cliten. Lungi Egisto?
Elet.   Nol vuoi?... Ma il signor tuo,
mio genitor, tradito esser non merta;
né il soffrirá.
Cliten.   Ma; s’ei... piú non vivesse?...
Elet. Inorridir, raccapricciar mi fai.
Cliten. Che dico?... Ahi lassa?... Oimè! che bramo? — Elettra,
piangi l’error di traviata madre,
piangi, che intero egli è. La lunga assenza
d’un marito crudel,... d’Egisto i pregj,...
il mio fatal destino...
Elet.   Oh ciel! che parli?
D’Egisto i pregj? Ah! tu non sai qual sia
d’Egisto il core: ei di tal sangue nasce,
che in lui virtude esser non può mai vera.
Esule, vil, d’orrido incesto figlio;
in tuo pensier tal successor disegni