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304 agamennone
senza ch’io frema.

Agam.   I nostri padri crudi
hanno in note di sangue in noi scolpito
scambievol odio. In me ragion frenarlo
ben può; ma nulla nol può spegner mai.


SCENA QUARTA

Clitennestra, Agamennone, Elettra.

Cliten. Signor, perché del popol tuo la speme

protrar con nuovo indugio? I sacri altari
fuman d’incenso giá: di fior cosperse
le vie, che al tempio vanno, ondeggian folte
di gente innumerabile, che il nome
d’Agamennón fa risuonare al cielo.
Agam. Non men che a me, giá soddisfatto al mio
popolo avrei, se quí finor, piú a lungo
che nol voleva io forse, rattenuto
me non avesse Egisto.
Cliten.   Egisto?...
Agam.   Egisto.
Ch’egli era in Argo, or di’, perché nol seppi
da te?
Cliten.   Signor,... fra tue tant’altre cure...
io non credea, ch’ei loco...
Agam.   Egisto nulla
è per se stesso, è ver; ma nasce, il sai,
di un sangue al mio fatale. Io giá non credo,
che a nuocer venga; (e il potrebb’ei?) ma pure,
nel festeggiarsi il mio ritorno in Argo,
parmi l’aspetto suo non grata cosa:
partir gli ho imposto, al nuovo giorno. — Intanto
pura gioja quí regni. Al tempio vado
per aver vie piú fausti, o sposa, i Numi.
Deh! fa, che rieda a lampeggiarti in volto