Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. I, 1946 – BEIC 1727075.djvu/338

Da Wikisource.
332 oreste
cosí men vivo. — O figlia, (qual ch’io sia,

mi sei pur tale) al pianger mio non piangi?
Elet. Piango,... sí,... piango. — Ma tu, di’; non premi,
tuttor non premi l’usurpato trono?
teco tuttora Egisto vil non gode
comune il frutto del comun misfatto? —
Pianger di te, nol deggio; e meno io deggio
credere al pianger tuo. Vanne, rientra;
lascia ch’io sola a compier vada...
Cliten.   O figlia,
deh! m’odi;... aspetta... Io son misera assai.
Mi abborro piú, che tu non m’odj... Egisto,
tardi il conobbi... Oimè!... che dico? appena
estinto Atride, atroce appien quant’era
conobbi Egisto; eppure ancor lo amai.
Di rimorso e d’amor miste ad un tempo
provai le furie,... e provo. Oh degno stato
di me soltanto!... Qual mercé mi renda
del suo delitto Egisto, appien lo veggo:
veggo il disprezzo in falso amor ravvolto:
ma, a tal son io, che omai qual posso ammenda
far del misfatto, che non sia misfatto?
Elet. Alto morire ogni misfatto ammenda.
Ma, poiché al petto tuo tu non torcesti
l’acciar del sangue marital fumante;
poiché in te stessa il braccio parricida
l’usato ardir perdea; perché il tuo ferro
non rivolgesti, o non rivolgi, al seno
di quell’empio, che a te l’onor, la pace,
la fama toglie, ed al tuo Oreste il regno?
Cliten. Oreste?... oh nome! Entro mie vene il sangue
tutto in udirlo agghiacciasi.
Elet.   Ribolle,
d’Oreste al nome, entro ogni vena il mio.
Di madre amor, qual dee tal madre, or provi.
Ma, Oreste vive.