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atto primo | 333 |
gli dia: sol ch’ei mai non rivolga incauto
ad Argo il piè. Misera madre io sono;
tolto a me stessa anco per sempre ho il figlio;
e forza m’è, per quanto io l’ami, ai Numi
porger voti, affinché mai piú davanti
non mel traggano.
Elet. Amor tutt’altro io provo.
Bramo, che in Argo ei torni, e il ciel ne ho stanco;
e di sí cara ardente brama io vivo.
Spero, che un giorno ei qui mostrarsi ardisca,
qual figlio il debbe del trafitto Atride.
SCENA TERZA
Egisto, Clitennestra, Elettra.
breve, o regina? a lai novelli sorgi
giá dell’aurora pria? Dona una volta
il passato all’obblio; fa che piú lieti
teco io viva i miei dí.
Cliten. Regnar, non altro,
volevi, Egisto; e regni. Or, qual ti prende
di mie cure pensiero? Eterno è il duolo
entro il mio core; il sai.
Egisto Ben so qual fonte
dolor perenne a te ministra: in vita
costei volesti ad ogni costo; e viva
io la serbai, per tua sventura, e mia.
Ma questo aspetto d’insoffribil lutto
vo’ torti omai dagli occhi: omai la reggia
vo’ serenar; con lei sbandirne il pianto.
Elet. Me caccia pur; fia reggia ognor di pianto
quella, ove stai. Qual risuonar può voce
altra che il pianto, ove un Egisto ha regno?