Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. I, 1946 – BEIC 1727075.djvu/350

Da Wikisource.
344 oreste
Elet.   Che parli?... in me? — Tu sai,

che lievemente la pietá si desta
in cor di donna. Ogni non fausta nuova,
benché non mia, mi affligge: ora saperla
vorrei; ma udita, mi dorrebbe poscia.
Umano core!
Pilade   Ardito troppo io forse
sarei, se a te il tuo nome?...
Elet.   A voi l’udirlo
giovar non puote; e al mio dolor sollievo
(poiché dolor tu vedi in me) per certo
non fora il dirlo. — È ver, che d’Argo fuori...
spettarmi forse... alcuna cura,... alcuno
pensiero ancor potria. — Ma no: ben veggio
che a me non spetta il venir vostro in nulla.
Involontario un moto è in me, qualora
straniero approda a questi liti, il core
sentirmi incerto infra timore e brama
agitato ondeggiare. — Anch’io conosco
che a me svelar l’alta ragion non dessi
del venir vostro. Entrate: i passi miei
proseguirò ver quella tomba.
Oreste   Tomba!
quale? dove? di chi?
Elet.   Non vedi? a destra?
d’Agamennón la tomba.
Oreste   Oh vista!
Elet.   E fremi
a cotal vista tu? Fama pur anco
dunque a voi giunse della orribil morte,
che in Argo egli ebbe?
Pilade   Ove non giunse?
Oreste   O sacra
tomba del re dei re, vittima aspetti?
L’avrai.
Elet.   Che dice?