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96 | ottavia |
Ner. Basta omai, basta; in me giá l’ira è troppa...
d’abbandonarmi ogni pensier deponi.
E Roma, e il mondo, e il ciel nol voglian, mia
sarai tu sempre: a te Neron lo giura.
SCENA QUARTA
Tigellino, Nerone, Poppea.
Ner. Gli hai tu dispersi? spenti?
Signor son io di Roma? — E che? tu torni
senza sangue sul brando?
Tigel. Ancor di sangue
tempo non è; ma ben si appressa, io spero.
Pur, grand’arte esser vuole: io fei piú grida
sparger fra ’l volgo: or, che ti appresti forse
a ripigliare Ottavia; ov’ella possa
d’alcune taccie di maligne lingue
purgar sua fama: or, che gli oltraggi insani
fatti a Poppea, destato a nobil ira
aveano il cor d’Ottavia stessa; e ch’ella
di pace in Roma apportatrice riede,
non di scompiglio...
Poppea E crede il popol stolto,
ch’io la di lei pietá?...
Ner. Sempre arte, sempre?
Non ferro mai?
Tigel. La men probabil cosa,
vera talvolta al popol pare. O stanco
fosse, o convinto, a queste varie voci,
ei rattemprò di sua ribelle gioja
il gran bollore in parte. Il dí frattanto
si muore; e fian segnal funesto l’ombre
di ragioni ben altre. Giá giá taciti