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ATTO QUINTO

SCENA PRIMA

Ottavia.

Ecco, giá il popol tace: ogni tumulto

cessò; rinasce il silenzio di morte,
col salir delle tenebre. Qui deggio
aspettar la mia sorte; il signor mio
cosí l’impone. — Or, mentre sola io piango,
che fa Nerone? In rei bagordi egli apre
la notte giá. Securo stassi ei dunque?
sí tosto? appieno?... E in securtá pur viva!
Ma, a temer pronto, e a distemer del pari,
nulla ei piú crede ad un lontan periglio:
di un tanto error, deh, non glien torni il danno! —
Fra disoneste ebrezze, e sozzi giuochi
di scurril mensa, or (qual v’ha dubbio?) orrenda
morte ei mi appresta. Il fratel mio giá vidi
cader fra le notturne tazze spento;
scritto in note di sangue a mensa anch’era
d’Agrippina l’eccidio: ognor la prima
vivanda è questa, che a sue liete cene
imbandisce Neron; le palpitanti
membra de’ suoi. — Ma, il tempo scorre; e niuno
venire io veggio,... e nulla so... Del tutto
Seneca anch’egli or mi abbandona?... Ah, forse