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126 timoleone
Demar. Ma, quante volte non ti udiva io stessa

biasmar questa cittá? Guasti i costumi,
i magistrati compri...
Timol.   Or di’: m’udisti
a magistrati iniqui antepor mai
compri soldati, ed assoluto sire?
Per l’onor vostro e mio, supporti, o madre,
voglio innocente ancora; e te men tristo,
che impetuoso. A che l’oprar tuo incauto
trar ti possa, nol vedi? io dunque luce,
io fiamma or sono alle tenébre tue.
N’hai tempo ancora. Alta, sublime ammenda,
degna di grande cittadin, ti resta;
generosissim’opra.
Timof.   Ed è?
Demar.   Per certo,
magnanim’opra fia, s’ella è concetta
entro al tuo petto generoso. Or, via,
a lui l’addita.
Timol.   Il tuo poter, che reo
tu stesso fai coll’abusarne, intero
tu spontaneo il rinunzia.
Timof.   — A te il rinunzio,
se il vuoi per te.
Timol.   Tolto a chi l’hai? favella;
al tuo fratello, o ai cittadini tuoi?
Rendi alla patria il suo; né me capace
creder mai di viltá. S’altri il tenesse,
privo ne fora ei da gran tempo. Pensa,
ch’io finor teco aperti mezzi...
Timof.   Io penso,
che tormi incarco, che dai piú mi è dato,
solo il possono i piú. Forza di legge
creato m’ha; legge mi sfaccia, io cesso.
Timol. E di leggi tu parli, ove insolente
stuol mercenario fa di forza dritto?