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Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. II, 1946 – BEIC 1727862.djvu/193

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atto terzo 187
sollievo solo; in te vivea l’antica

mia consorte; in te solo anch’io viveva:
ben altro a noi, che figlio... Ah! se tu visto
fra noi lo avessi!... Quasi in cor sentisse
gli alti natali suoi, con dolce impero
ei ci reggeva a voglia sua: ma sempre
eran sue voglie e generose, e giuste. —
Ah! mio figliuol, rimembrar non ti posso,
senza che il pianto dagli occhi trabocchi.
Mer. ... E me pur fai tu lagrimare a un tempo
di gioja e di dolore. Oh cielo!... e quando
il rivedrò? deh, quando?... O figliuol mio,
degg’io saper tuoi pregj tanti, or mentre
saper non posso ove ti aggiri?
Polid.   Oh! quanta,
qual pena m’era il non poterti mai,
fuorch’ei vivea, far nulla intender d’esso!
Ma periglioso era il fidarsi: appena
il convenuto segno osai mandarti,
per farti udir ch’ei me lasciato avea,
e ch’io poscia il cercava.
Mer.   Ahi segno infausto!
Ah, giunto mai tu non mi fossi!... Io pace
mai piú non ebbi da quel dí... Che dico?
Pace?... Ah! non sai... Dubbj, e terrori orrendi
a mille a mille, e false larve, o vere,
m’agitan sempre. Al sonno io piú non chiudo
palpébra mai: ma se natura, vinta
pur da stanchezza, un cotal po’ richiama
a quíete i miei sensi, orridi sogni
piú mi travaglian, che le lunghe veglie.
Or lo vegg’io mendico andarsen solo,
inesperto, in balia di cieca sorte;
sotto misere spoglie, a scherno preso
dai grandi alteri, e di repulse infami
avvilito... Oimè misera!... Or lo veggio