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186 merope
del miglior re che fosse mai! Deh, possa

io lá spirar sovr’essa!
Mer.   Or via, mi narra...
Tremar mi fai... Perché indugiar? sí mesto
perché ritorni? i passi suoi spíasti?
rintracciato non l’hai? Parla: or sei lune
son, che partisti d’Elide; ed or l’anno,
che ogni giorno io mi moro.
Polid.   Ahi me infelice!
Pensa qual pianto è il mio... Tu non ne udisti
mai dunque?...
Mer.   No... Ma tu?...
Polid.   Trascorsa ho mezza
Grecia; all’antico fianco lena porse
l’amor, la speme, il gran desio: Cillene,
Olimpia, Pilo, Argo, Corinto, Sparta
io visitai, con altre cittá molte;
né indizio pure ebbi di lui: l’ardente
sua giovinezza, e i generosi spirti,
chi sa fin dove lo spingeano! — Ah figlio!...
Troppa in te di vedere era la brama,
d’apprendere, d’andare: o degna prole
del grande Alcide, il mio tugurio vile
non ti capea. Benché del tutto ignoto
fossi a te stesso, ogni tuo senso, ogni atto,
pur ti svelava...
Mer.   Oh quai diversi affetti
al tuo parlar provo ad un tempo! Ah! dove,
dove sei, figlio?... E il ver mi narri? ei degno
crescea degli avi?
Polid.   Degno? Oh ciel! piú ardita
indole mai, piú nobil, piú sincera,
piú modesta io non vidi: e di persona
sí ben formato; e sí robusta tempra;
e cosí maschio aspetto; e cor sí umano: —
e che non era in te? Di mia vecchiezza