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192 merope
ch’io sconfissi in battaglia il signor tuo,

tormi quel dí, la vita in campo; o allora
morir per lui. — Pure il passato io voglio
or del tutto obbliar... Ma, finta nuova
non rechi ad arte forse? Or narra, quando,
dove, come ei moria...
Mer.   Saperlo estinto,
a te non basta? anco vederlo forse
vorresti? e il vile tuo tremante core
rassicurar con tal feroce vista?
E una madre veder sul morto figlio
sparger pianto di sangue? Or va; dal fiume,
ove onorata no, ma queta tomba
egli ha, ritrallo, e in Messene strascínalo;
strazj, cui dar non gli potesti vivo,
estinto gli abbia; va. Quei, che trafitto
fu dianzi, era il mio figlio.
Polif.   E fia ch’io ’l creda
Eri tu seco? di’. Come?...
Polid.   Pur troppo
giungeva io tardi! Ah! me con esso ucciso
avria colui. Piú nol vid’io...
Polif.   Ma come
il sai tu dunque?
Polid.   Ecco: il suo cinto è questo.
Spoglia giá di Cresfonte; ancor grondante
è del suo sangue; che in un mar di sangue
colá il trovai: mira; il ravvisa; il crudo
tuo sguardo pasci. — Un giovinetto, ignoto,
stranier, d’Elide... Oh ciel!... cosí non fosse,
com’è pur desso!
Mer.   Il mio morir tra poco
fe ten fará. — Ma tu, che quí t’infingi,
forse tu il festi ivi svenar... Che forse?
Dubbio non v’ha. Coll’uccisor tu dianzi
tranquillamente favellavi: or donde