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atto terzo 193
pietade in te, che pur di lui sentivi,

se di crudel desio figlia non era?
Ah! sí; tuo messo era colui...
Polif.   Ti accechi,
Merope, tanto? Io mai nol vidi; il giuro.
Se quí celato il tuo figliuol venia
solo, fuggiasco, in menzognere vesti,
come saperlo io mai potea? Colui,
che il trucidò, come il potea (deh dimmi)
ravvisar egli mai, se a lui non meno
era ignoto, che a me? Vuoi piú? tu stessa
dell’uccisor pietade non mostrasti?
Nol lasciai forse io teco? a piacer tuo
non l’hai tu stessa interrogato? donna
del suo destin non ti fec’io?
Mer.   Se reo
dunque non sei del colpo, in questa reggia
sta fra tue man quell’uccisore infame:
può sol vendetta alcuno istante ancora
me rattenere in vita. Or fa, ch’io il vegga
vittima tosto cader sulla tomba
dell’inulto Cresfonte; ivi l’infida
alma spirar fra mille strazj e mille
fa ch’io ’l vegga: ed allora...
Polif.   Io dare a dritto
potrei mercede a chi svenava un vile,
che a tradimento a uccider me veniva:
ma pur (s’io son qual tu mi tacci, or mira)
del mio nemico vendicar la morte
io stesso voglio: e ten prometto intera
giustizia in breve...
Mer.   Aspra la voglio, e pronta,
e inaudita, e terribile: null’altro
mai ti chiedei: favore ultimo, e primo,
questo mi fia da te... Ma, vero parli?...
Non ben mi affido... Sbramar gli occhi miei


 V. Alfieri, Tragedie - II. 13