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atto quinto 211
torni. Messene mormora: mostrarmi

tanto piú a lei franco e securo io deggio.
Merope viene alle abborrite nozze
sol perch’è madre; e quindi aspetta forse
la mia rovina poi... Ma, preverrolla.
Sgradite a me son quanto a lei tai nozze:
ma piú vantaggio, e pria di lei, trarronne.
Fra securtá di nuzíali letti,
di comun mensa, e di ospitale albergo,
si apprestan mezzi, ad ogni istante mille,
di compier ciò, ch’or trar non posso a fine,
né lasciar poi, senza periglio, a mezzo. —


SCENA TERZA

Merope, Egisto, Polidoro, Polifonte,

Soldati, Popolo, Sacerdoti, Vittima.

Polif. Vieni, o regina; che il tuo prisco nome

ti renda io primo. Al fin tu cedi: oh! lieto
sia il giorno a noi! Da me festosa pompa,
per quanto il soffre brevitá di tempo,
apprestata al solenne atto rimiri.
E grandi, e plebe, e sacerdoti, e Numi,
testimonj vogl’io, ch’ogni rancore
spento è tra noi; restituito a ognuno
suo prisco stato; e che sublime ammenda
io fo in tal guisa d’ogni antico oltraggio.
Mer. — Ma, quei che stanno a noi dintorno, udito
forse han da te, che sono io madre ancora?
E a qual prezzo la vita del mio figlio
mi vendi?...
Polif.   Or dianzi, in nome tuo, costui
altro parlommi. E che? giá ti cangiasti? —
Ma, se pur vuoi de’ tuoi pensieri a parte
questo augusto consesso, io ’l vo’ de’ miei.